La casa di carta Parte 5 – Gli ultimi spasmi

Eccoci arrivati in quel momento dell’anno in cui Netflix sgancia le bombe dei suoi pezzi forti, aspettandosi di venire acclamato e vedere i suoi incassi schizzare alle stelle. Molti di voi sapranno, infatti, che da poche settimane è uscita ufficialmente sulla piattaforma streaming la quinta parte de La casa di Carta. Per l’esattezza è uscita il 3 settembre, facendo molto meno rumore di quanto, sinceramente, mi aspettassi. Quindi direi che è arrivato il momento di chiacchierarci un po’ sopra, facendo un bilancio delle cose positive e negative.

Da qui ALERT SPOILER!

Il ritorno dai vecchi amici casinisti e ribelli

Si sa, tornare, dopo un lungo periodo di attesa a rivedere le avventure dei propri eroi, è una delle sensazioni più belle di sempre. È come tornare a casa dopo una giornata sfiancante di lavoro e trovare la cena già in tavola, il pigiama stirato e profumato, e due comode pantofole ai piedi del divano. Anche in questo caso tornare alla banca spagnola è stato qualcosa di emozionante, sia in positivo che in negativo ovviamente. Rivedere il Professore avrà fatto spuntare sorrisi, come anche  la vista della barba di Helsinki o il sorriso un po’ ebete di Denver. Rivedere invece il commissario o Arturito, forse, ha stimolato nervosismo e la voglia di picchiare qualcuno. Ma non importa, la storia ci era mancata, le sparatorie pure e quel senso di “come se la caveranno” ancora di più. Da questo punto di vista Netflix è riuscita a creare una fidelizzazione perfetta, con personaggi iconici e momenti di azione memorabili. Tutti, dai più appassionati a quelli meno presi, abbiamo immediatamente aggiunto alla lista delle cose da guardare la nuova stagione. Una bella vittoria, non facile da raggiungere. In fondo, tenere sul filo del rasoio il pubblico e mantenere viva l’attenzione non è affatto semplice. O mi sbaglio?

3... 2... 1... ACTION!

Se esistesse il premio per la serie più casinista e sparatutto dell’anno, La casa di carta la vincerebbe. Non è certo una critica, anzi, un grande complimento. Quello, infatti, che ha sempre avuto questa storia è la grande potenza di farti svagare, spegnere il cervello e stimolare al massimo la tua sensibilità più profonda. Dalle granate che esplodono, ai momenti di passione tra le lenzuola, fino alle morti più strazianti, La casa di carta non ha mai deluso la parte più casinista dei nostri esseri. È questo che le serie di intrattenimento fanno: distraggono, senza cercare di portare grandi temi filosofici sullo schermo. Solo azione e sentimenti forti si devono susseguire tra le scene. Per questo non mi sono mai trovata d’accordo con chi critica questa serie di essere superficiale, vuota o mal fatta. Non è mal fatta, è che il suo obiettivo non è essere raffinata o intellettuale. Insomma: è il Doom dalla serialità, il GTA di Netflix. È per chi vuole far casino rimanendo sul divano e godendosi ladri e ladre sudaticci che puntano una Browning verso la camionetta di un piedi piatti.

Parte uno, parte due, parte tre, parte quattro...

Iniziamo con le noti dolenti. La prima è questo continuo frantumare in pezzettini la storia, producendo stagioni su stagioni. Specialmente in quest’ultima, composta appena da cinque episodi, il problema si fa evidente. L’inizio è palesemente legato a doppio filo con la Parte Quattro. Voi direte: è sempre così dov’è il problema? Sì è vero, è sempre così ma in questo caso alcune meccaniche di cause ed effetto son molto difficili da capire poiché hanno le radici negli episodi precedenti. Un esempio concreto: la fuga in elicottero di Marsiglia. Sinceramente, non vedendo da un anno e passa gli episodi della stagione quattro, molti pezzi di questa fuga, come la macchina rossa, li ho capiti a stento. Si capiva come la quattro e la cinque fossero un’unica storia, spezzata in modo grossolano per cercare di protrarre il più a lungo possibile il successo e gli incassi legati al titolo della serie.

Insofferenza e ultimi spasmi

Causa immediata del problema descritto nel paragrafo precedente è l’insofferenza del pubblico. Specialmente in quest’ultima parte si è sentito come Netflix volesse allungare il brodo, inserendo scene sul passato dei personaggi che conosciamo a menadito (es. il passato di Tokyo, su cui ci sono due puntante intere). Insomma, per quanto si ami la storia, questa deve andare avanti e non solo: deve arrivare a una conclusione. Ve ne siete accorti che appena gli episodi stavano decollando si erano conclusi? Rimanendo ancora una volta a bocca asciutta e in attesa della sesta parte? Il pubblico, in poche parole, non ne può più. Questa rapina deve finire poiché è già diventata il fantasma di sé stessa e lo spettatore lo sente. Già questo piano inizialmente aveva delle basi poco solide, liberare il maldestro Rio, in più lo trascini in avanti come un sacco di patate, sperando che chi guarda non si annoi... Diciamo che Netflix sta giocando un po’ di azzardo.

Colpi di scena che non son colpi

Dal punto di vista della storia anche qui la nuova stagione ha deluso abbastanza. Tutti i colpi di scena erano prevedibili e scontati in maniera quasi fastidiosa (es. il Professore che si salva con il parto dell’acerrimo nemico). Il pubblico infatti, di regola, deve essere da un lato compiaciuto ma dall’altro sorpreso. Bisogna riuscire a tenere l’equilibrio tra il “lo sapevo che sarebbe successo” e il “non me lo sarei mai aspettato”. È una delle regole per la ricetta delle storie perfette. Cosa succede se non si seguono? Semplice: i colpi di scena non emozionano e il pubblico si annoia. Un esempio pratico: la ferita quasi mortale di Helsinki. La casa di carta ci ha abituato a veder morire i personaggi più dolci, da Mosca fino a Nairobi, quei personaggi che fungevano da figure famigliari per gli altri più scalmanati e difficilmente sopportabili (in alcuni momenti). Poiché Helsinki era l’unico rimasto a far parte del gruppo “buoni e teneroni”, era scontato si ferisse mortalmente. E anche il sacrificio di Tokyo. Sì, forse quello è meno scontato, ma siam sicuri sia morta? Non è che in qualche maniera altamente fastidiosa e inverosimile la riusciranno a far sopravvivere? E se non lo fanno: qualcuno mi spiega perché fin dall’inizio c’è la sua voice over? Se è il monologo degli ultimi istanti di vita, in cui la vittima rivive i momenti più belli, beh... Maria io esco.

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Insomma, tirando le somme: questa serie ha avuto la sua stagione d’oro ma ora, a causa della voglia di denaro dei produttori, sta vivendo gli ultimi imbarazzanti spasmi. Sintomo ne è anche la pubblicità del lancio, quasi inesistente se paragonata a quella delle stagioni precedenti, con eventi, valanghe di stories e post sui social. Sembra quasi che Netflix si sia accorta dell’errore e voglia nascondere i cocci sotto un tappeto, dando visibilità ad altri prodotti e rassegandosi ad ammirare i vecchi successi di questa.

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